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Blind hiring: moda o metodo?

Il blind hiring si riferisce alla tecnica di rimozione delle informazioni personali dalle candidature durante il processo di valutazione. Molto spesso si tratta dei nomi dei candidati, ma in alcuni casi la cernita è approfondita, rimuovendo tutti i dettagli sociodemografici che potrebbero influenzare il processo decisionale di assunzione: l’età, l’indirizzo di residenza e talvolta persino i nomi degli istituti frequentati.

 

Rendere i CV “ciechi” prima della selezione rappresentano un trend diffusosi negli ultimi anni come una soluzione popolare per ovviare ai pregiudizi inconsci dei recruiter che mettono a rischio l’equità del processo di selezione. In questo modo, al centro della valutazione vi sono solo le qualifiche e le competenze dei candidati attinenti alla posizione lavorativa vacante.

Gli unconscious bias: il nemico più arduo da sconfiggere

 

I bias inconsci sono un problema difficile da affrontare. Agire in base a dei giudizi immediati non è sempre negativo: lo scopo evolutivo del pregiudizio è quello di aiutare le persone prendere decisioni rapidamente, soprattutto nei momenti di pericolo. Tuttavia, a volte questi giudizi sono imprecisi e possono portare a prendere decisioni ingiuste, come nel campo delle HR.

 

L’influenza dei bias inconsci è più forte di quanto si possa supporre. Non si tratta solo dell’etnia o del “buon nome” di una scuola, ma di elaborazioni ancora più inconsapevoli. Per esempio, un candidato potrebbe fare buona impressione solo perché porta lo stesso nome del figlio del recruiter.

Il blind hiring come supporto in un’epoca di diversity & inclusion

 

Il metodo appare semplice quanto all’avanguardia, ma non va inserito nei processi di assunzione come una moda: il suo valore deriva dalla diffusione dei principi di equità e inclusione, che dovrebbero già essere inseriti nella cultura aziendale.

 

Parole come “diversity”, “female empowerment”, “LGBTQAI+” e “disabilità” acquistano senso solo se seguite da un monitoraggio e da iniziative a supporto. Il blind hiring è una di queste, forse la prima che un candidato può sperimentare, e che genera in lui/lei un’aspettativa sulla qualità della vita e sui valori dell’azienda.

 

Per questo, la soluzione non è semplicemente quella di accettare CV “ciechi” per iniziare i processi di assunzione con un sistema di tracciamento dei candidati (ATS) che oscuri taluni campi nelle presentazioni dei candidati. In un passo successivo sarà comunque necessario l’intervento di un recruiter e, ancora oltre, durante l’esperienza lavorativa saranno sempre presenti delle interazioni umane.

 

Ancora oltre, è inevitabile che per certi ruoli alcune considerazioni di natura extra-lavorativa siano d’obbligo.

 

Per questo, Recruiter, Hiring Manager ed Employee dovrebbero condividere un mindset aperto, inclusivo e, soprattutto se coinvolti nei processi di selezione, identificare i propri pregiudizi per evitare discriminazioni inconsce e palesi durante la valutazione dei candidati.

 

Come insegna la vicenda del software per le assunzioni di Amazon, il cambiamento non può essere né immediato, né prettamente tecnologico, ma prima di tutto culturale.

 

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